Cookie Consent by Free Privacy Policy website Flavio Favelli | Progetto per fontana e altre figure
febbraio 08, 2023 - Francesca Minini

Flavio Favelli | Progetto per fontana e altre figure

'Le opere fuori', conversazione tra Francesco Stocchi e #flaviofavelli.

FF: C'è sicuramente una corrispondenza fra il tuo scrivere per un giornale che non è di #arte e il mio occuparmi di #arte nello spazio pubblico, il fatto di cercare di uscire fuori dal museo, dallo spazio deputato all'arte. Sono più di vent'anni che tento di fare progetti e opere fuori e ho ben compreso il profondo disinteresse, oltreché fastidio, unito al terrore, più che dell'arte, del libero pensiero. L'arte di oggi mette in difficoltà il potere e la politica.
Tutto deve avere una spiegazione, un fine, un senso comprensibile in modo chiaro, tutto deve essere semplice e ovvio. Ma cosa vuole dire il cercare e tentare di "uscire" e andare "fuori". Al di là dell'impegno civico, c'è altro? Ma l'impegno (sono d'accordo con Walter Siti e il suo Contro l'impegno) non è da intendere come un'idea per "cambiare in meglio le cose", ma semplicemente cambiare il punto di vista, senza un fine particolare.
E quindi non parlerei di impegno, ma forse di mettere "un bastone fra le ruote".


FS:
 L'impegno per come lo intendo è espressione degli attivisti, cioè quelli che promuovono un'arte sulla politica che si distingue dall'arte politica, aspetto intrinseco fondante del fare #arte. Questo lo leggo come mettere il bastone tra le ruote, offrire l'altro lato delle cose e forse uscire dalla dittatura dei buoni sentimenti che sembra aver avvolto l'arte nell'ultima generazione. Finché il mercato avrà così tanta variegata intenzione di attrarre, il libero pensiero verrà messo da parte, a meno che non si voglia essere anti sistema a tutti i costi, che è anche il rovescio della medaglia. Ci sono degli artisti che indossano questo abito, ma non possono per ovvie ragioni essere tanti, come non lo erano i giullari di corte che solo loro potevano offendere il re senza vedersi tagliare la testa. Proporre il proprio lavoro in uno spazio pubblico è un po' come scrivere su un giornale non di settore, come Il Foglio nel mio caso. Lo spettatore/lettore trova un contenuto senza che sia andato a cercarlo. Lì sta lo scarto e il lavoro di traduzione rispetto al quale dobbiamo avere responsabilità.

FF: Dici dei "buoni sentimenti" e mi viene in mente un articolo illuminante di Mario Perniola Perché l'arte deve rimanere senza dio, del 2013. Recentemente, da più parti, c'è questa spinta ad ammantare l'arte sia di sacro che di uno spirito positivo e quindi di "giusto" e di questo non vedeva l'ora la politica e gran parte della società che ha sempre vissuto "l'arte moderna" come una scocciatura. L'arte non è più #arte, ma deve avere una giustificazione, servire alla rigenerazione urbana o alla valorizzazione del territorio; qualsiasi progetto in ambito pubblico, in tempo di "populismo reale", deve sottostare a questa nuova legge che seduce artisti e amministratori: bisogna accontentare tutti. Nello spazio pubblico non si può pensare a un progetto libero e articolato; si chiamano gli artisti solo per risolvere situazioni, per commissioni o celebrare gli eroi della patria. Sembra che ci sia paura a camminare da soli, c'è bisogno di consenso, di popolarità, di politica corretta e di benedizioni.

FS: "Abbiamo l'arte per non morire della verità", scrisse Nietzsche nel 1888, forse a Torino. Sembra che oggi sia esattamente il contrario, soffocati da un ingombrante verismo che fa confondere attualità con contemporaneità. Si promuove quindi l'arte esigendo risposte, rassicurazioni, o conferme lì proprio dove dovrebbero invece nascere le domande perché è chiedendo e chiedendosi che vive la cultura. Fino alla generazione passata, mi sembra che i direttori di musei fossero molto più liberi di operare rispetto ad adesso, dando modo all'arte e alle istituzioni culturali che la promuovevano, di svolgere il ruolo critico nella società. Progressivamente il controllo si è fatto maggiore, portandoci alla situazione attuale. Effetti indesiderati, ma inevitabili dell'epoca d'oro (dal punto di vista del mercato e della visibilità) che stiamo vivendo da circa una generazione.

FF: Sì certo, mi sembra che oggi sia un punto poco discusso, mi sembra proprio che si stia andando verso un controllo maggiore. Pochi si sono accorti che una generale creatività dominata dalla "street art" e dall'attivismo sta censurando e soffocando l'arte libera. La politica permette solo progetti partecipativi e funzionali alle sue idee, le aziende sostengono solo progetti a tema ecologico ed ecosostenibile. Anni fa andai ospite ad una festa di un conoscente marocchino. Ovviamente eravamo solo uomini e dopo mangiato iniziò una timida discussione che ben presto si accese. La questione era semplice: nonostante fossero emigrati per trovare lavoro in Italia, nonostante riconoscessero, anche se in modo tiepido, il regime autoritario del loro paese, il conflitto con l'Occidente fu subito chiaro. Compresi subito gli effetti di un'educazione autoritaria, ideologica e musulmana (tutti i partecipanti si definivano molto religiosi). Pensai che il mio compito era quello di cercare di fare comprendere, in un pomeriggio, con un tè talmente zuccherato da essere imbevibile, che non c'era un solo modello di Occidente e che una figura, sicuramente minoritaria, ma non per questo meno importante, era quella del "contrario" per usare un termine che ho imparato da Franco La Cecla, su certi usi di alcuni guerrieri di tribù americane. Il "contrario", o direi l'artista, è colui che non facendo le cose al verso giusto, il verso giusto per la società, stabilisce i confini delle regole e fa comprendere che queste possono essere trasgredite. Il suo ruolo è fondamentale, per, come dici, "non morire della verità". È strano usare come esempio una vicenda vissuta con musulmani integralisti per fare capire la situazione di oggi del potere politico verso l'arte, ma è calzante.

FS: "L'Arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità" diceva Adorno proprio in contrapposizione all'influenza della dimensione politica sull'arte. Ora sembra che nelle scuole vogliano insegnare all'artista a farsi cronista della "verità", giustificare socialmente le sue scelte e lasciare da parte l'aspetto magico. Succede con i film e certa letteratura. Le "crisi" ricorrenti nella storia dell'arte servono proprio a scompigliare i confini delle regole quando questi diventano troppo rigidi.